Verdi a Milano
La mia opera più bella”. Così il Maestro definì il grande complesso che si erge da più di un secolo su piazza Buonarroti: la Casa di riposo per musicisti, fatta costruire appositamente “per accogliere vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio. Poveri e cari compagni di una vita”.
Nel 1889 Verdi, da sempre attento alle questioni sociali e civili — l’anno prima aveva inaugurato, finanziandolo personalmente, l’ospedale di Villanova d’Arda —, decise di dedicare gran parte delle sue energie e dei suoi averi nella realizzazione di una vera e propria Casa — non un ricovero o un ospizio, termini e concetti assolutamente respinti dall’artista — per i colleghi meno fortunati. Al tempo, infatti, non esistevano pensioni e sovvenzioni ed un artista, terminata la carriera, si trovava spesso in condizioni precarie se non addirittura disperate. Da qui l’idea di una struttura moderna e decorosa che permettesse agli anziani musicisti una vecchiaia serena e protetta: una novità assoluta per il tempo.
Nell’ottobre del 1889 il compositore scrisse all’editore Giulio Ricordi “ho acquistato tremila metri di terreno. Non fuori porta Vittoria ma porta Garibaldi. Come altre volte, potendo disporre di qualche somma, ho acquistato titoli di rendita. Così ora, offertami l’occasione, ho comprato questo terreno ma senza idea fissa di quello che ne farò o ne potrò fare. È denaro impegnato, bene o male, ma senza progetto”. In realtà, il Maestro aveva le idee chiarissime sul da farsi e pochi mesi dopo, nel gennaio 1890, venne a Milano con Giuseppina per incontrare l’architetto Camillo Boito — fratello d’Arrigo — e i fratelli Noseda, impresari dei lavori.
Nonostante l’impegno per il completamento del “Falstaff”, Verdi seguì con attenzione, persino con minuzia, il progetto e il procedere dei lavori. Dal fitto carteggio con Boito scopriamo che sin dall’inizio rifiutò la definizione di ricovero: “non si dovrà parlare di ricoverati ma di ospiti, i miei ospiti”. Boccia anche l’idea delle camerate “voglio stanze separate per due persone non singole, in modo che all’occorrenza l’una possa aiutare l’altra. È un’idea che costa me le economie vanno fatte per le cose minori”.
Come sottolinea Daniela Rossi nella bella monografia dedicata alla Casa, «Il 16 dicembre 1899 Giuseppe Verdi istituisce l’Opera Pia Casa di Riposo per Musicisti e le dona il fabbricato di piazza Buonarroti. Quindici giorni dopo, il 31 dicembre 1899, L’Opera Pia viene eretta Ente Morale, per Regio Decreto firmato da re Umberto e da Luigi Pelloux. Lo statuto prevede, per i primi dieci anni, un massimo di 100 ricoverati nella percentuale di 60 e 40 tra uomini e donne. Per la formazione del consiglio d’amministrazione vengono indicate sette persone di fiducia del Maestro, tra le quali l’architetto Camillo Boito, il senatore Gaetano Negri (ex sindaco di Milano), l’editore Giulio Ricordi, l’avvocato Enrico Seletti. Al compimento dei lavori, nel 1899, Giuseppe Verdi ha 86 anni e da due anni e mezzo visita assiduamente il cantiere, controllando ogni progresso con meticolosità e facendo fronte alle spese. “Il giorno in cui tutto sarà finito sarà il più bel giorno della mia vita, gli affari mi sono insopportabili” aveva scritto».
Nel maggio del 1900, Verdi perfezionò il suo testamento nominando erede universale la figlia adottiva Maria e lasciando alla Casa i diritti d’autore — nel 1882 Verdi fu uno dei fondatori della SIAE, la Società Italiana Autori e Editori — delle sue opere. Ma non solo: preoccupato per le sorti dell’iniziativa decise di destinare al mantenimento della struttura i ricavati di alcune sue proprietà.
Per volontà del Maestro, la Casa fu aperta solo dopo la sua morte. Il 10 ottobre 1902, giorno del suo compleanno, i primi nove ospiti entrarono nel grande edificio, quattro donne e cinque uomini: Lauretta Romani, artista e maestra di canto, Giuseppe Fossati, corista comprimario e direttore di scena, Virginia Pozzi, artista di canto, Luigi Giovannini, professore nelle bande municipali, Angela Repossi, artista di canto, Giuseppina Jotti, artista di canto, Giacomo Vietti, artista di canto e organista, Onorato Pasini, organista.
Da allora gli ospiti sono stati più di mille e da un quindicennio la Casa accoglie anche sedici giovani studenti, d’ambo i sessi, del Conservatorio, dell’Accademia della Scala e della Fondazione Milano. Una scelta questa perfettamente in linea con la filosofia verdiana che vedeva la Casa come un luogo vivo e aperto, uno spazio intergenerazionale dedicato alla musica e all’arte. Come ricorda Daniela Rossi, a Casa Verdi «i residenti hanno le chiavi, dispongono degli spazi privati come preferiscono, ognuno può portare con sè le proprie cose, arredare le stanze con ciò che gli è più caro. Le camere sono dotate anche di quelle comodità e strumenti che il Maestro non poteva immaginare: televisione, televisione, internet, aria condizionata. Vi sono sale comuni, il salone della parrucchiera, la sartoria, spazi per l’esercizio fisico e laboratori che permettono di stimolare e diversificare l’espressione della creatività: la redazione del giornale di Casa Verdi, l’arte dei fiori, l’atelier di pittura». Dalla fine degli anni Novanta è, inoltre, attiva una Residenza Sanitaria Assistita, che segue con attenzione gli artisti bisognosi di cure mediche.
Cuore della Casa — ovviamente — è la splendida Sala dei Concerti impreziosita da ricchissimi decori e da otto grandi medaglioni con ritratti di altrettanti musicisti italiani. Vale la pena d’osservarli con attenzione, poiché li scelse personalmente Verdi e offrono un’idea precisa delle preferenze musicali del Maestro. In ordine cronologico vegliano sulla Casa Giovanni Pierluigi da Palestrina, Claudio Monteverdi, Girolamo Frescobaldi, Alessandro Scarlatti, Benedetto Marcello, Giovanni Battista Pergolesi, Domenico Cimarosa, Gioacchino Rossini.
L’edificio conserva numerosi ricordi verdiani, alcuni provenienti dall’appartamento di Genova come la “sala turca”, ricostruzione perfetta del salotto orientale — dono del kedivè d’Egitto per il successo de “L’Aida” — la sala da pranzo, il pianoforte a coda Erard. Nelle credenze e negli espositori sono conservate le onorificenze, il cilindro, la marsina del compositore e il calco in gesso della mano e la maschera mortuaria. Emozionante la vista della spinetta cinquecentesca regalata a Giuseppe Verdi bambino dai suoi genitori. Sui quei tasti tutto ebbe inizio.
Data creazione: Mon Jul 03 16:37:44 CEST 2017