L'incendio del 1848
Il 15 febbraio 1845, l’instancabile musicista presentò al pubblico scaligero della “Giovanna d’Arco”, l’ultimo suo lavoro. Seppur non eccelsa l’opera piacque sia per l’ottima interpretazione di Erminia Frezzolini — una grande cantante e una splendida donna che Verdi, con gran gelosia del di lei marito, ammirava sconfinatamente — , sia per i soliti riferimenti patriottici che Solera aveva distribuito con cura.
Ma i rapporti con l’avido Merelli erano ormai tesi. Scoperta una trattativa dell’impresario con l’editore Ricordi per i diritti della “Giovanna d’Arco”, l’esasperato Verdi rompe con Merelli e, di conseguenza, con La Scala. Il musicista è furibondo al punto di rifiutare le sue opere al teatro scaligero.
È un gesto forte, assolutamente inusuale nel panorama artistico del tempo, che conferma il carattere rigoroso e severo dell’uomo. In una lettera del 1846 al suo editore, Giovanni Ricordi, scritta alla vigilia della Prima del Macbeth a Firenze, il Maestro ribadisce con forza il suo divieto: «approvo il contratto che hai fatto per l’Opera mia nuova che andrà in scena nella prossima Quaresima in Firenze, e do la mia adesione a che tu ne faccia uso, colla condizione però che tu non permetta la rappresentazione di questo “Macbeth” al teatro La Scala. Ho troppi esempi per essere persuaso che qui non si sa e non si vuole montare come si conviene le opere, specialmente le mie… Mi credo in obbligo di avvertirti per tua norma, che questa condizione che ora metto per Macbeth da qui in avanti la metterò per tutte le opere».
Grazie all’intercessione di Ricordi le opere verdiane continueranno ad essere rappresentate a Milano, ma per 24 lunghi anni Verdi rimase lontano, in sdegnoso esilio, dalla sala del Piermarini.
Come sopra accennato seguirono anni di furibondo lavoro e di continui viaggi. Il più importante fu sicuramente quello fatto nel 1847 a Parigi e Londra. Nella capitale francese il musicista ritrovò Giuseppina con cui decise finalmente di convivere. Nel passaggio londinese Verdi mise in scena all’Her Majesty’s Theatre “I masnadieri”, opera tratta da un dramma di Schiller e strappa un importante contratto decennale. Ma, soprattutto, in quei giorni il Maestro incontrò Giuseppe Mazzini e altri esuli. Una scelta di campo chiara e definitiva.
Rientrato a Parigi si dedicò al rifacimento francese de “I Lombardi” che verrà rappresentata come “Jérusalem” all’Operà. Verdi è ormai una stella internazionale, ma dal suo soggiorno parigino, il bussetano continuava a seguire le vicende italiane. Alla notizia delle Cinque giornate milanesi e dello scoppio della prima guerra d’indipendenza, Giuseppe non perse tempo: il 5 aprile era in città accolto dai suoi vecchi amici come la contessa Maffei, il librettista Francesco Maria Piave — in partenza per il fronte — e dai suoi tanti ammiratori. Fu un passaggio veloce — a fine maggio Verdi, dopo aver acquistato una residenza a Busseto, era nuovamente a Parigi — ma significativo. Nella fervida mente del compositore aleggiavano svariati progetti d'opere patriottiche e un inno (non eccelso) che regalerà a Mazzini in ottobre. Purtroppo in estate la sorte per gli italiani volse al peggio e Carlo Alberto fu costretto a sgomberare Milano e firmare l’armistizio. La guerra era perduta, soltanto Venezia e Roma continuavano a resistere e combattere.
Dal suo rifugio di Passy — nei dintorni di Parigi, una residenza di campagna scelta con cura dalla Strepponi — l’artista si lanciò nella scrittura della sua opera più politica: “La battaglia di Legnano”.
Non a caso, Verdi volle che la Prima fosse al Teatro Argentina in Roma ancora libera. Come racconta con maestria il Mila «nel teatro, infuocato come un’arena, l’ultimo atto (quello maggiormente pregno d’amor di patria, ndr) fu replicato seduta stante…. alla prima rappresentazione successero cose deliranti. Da un palco di quart’ordine un ufficiale ubriaco rovesciò sul palcoscenico la spada, le spalline, il cappotto e le sedie del palco, finché non fu arrestato. Bandiere e nastri tricolori si sprecavano…».
Ma l’eccitazione dei rivoluzionari romani, il clima di disordine e confusione o di aperta anarchia dell’effimera repubblica, non piacquero all’austero artista. Verdi era un patriota ma anche un uomo concreto, lucido, pragmatico. Il 28 febbraio 1849 lasciò Roma per Parigi, abbandonando lungo la strada gran parte delle sue illusioni repubblicane e mazziniane. D’ora in poi il destino politico del compositore sarà tutto nel segno di Cavour e della Destra storica.
Data creazione: Thu Jun 29 16:27:34 CEST 2017