La Scala: un mito

Ma per il giovane musicista emiliano Milano è soprattutto La Scala, il grande moderno teatro costruito in soli due anni dal grande Piermarini. Con la sua sala di tremila posti illuminata da un enorme lampadario di cristallo con 84 lumi a olio, il foyer, le sale da gioco e le vaste aree riservate ai servizi tecnici, il complesso è degno di una grande capitale.

Piazza_della_ScalaNel primo scorcio dell’Ottocento il palcoscenico ospita i maggiori compositori italiani, tra cui Rossini, Bellini, Donizetti. Il meglio della “grande musica” del tempo. Come sottolinea la Torcellan «diversi elementi contribuiscono all’indiscusso successo de La Scala: la genialità di alcuni grandi autori, l’abilità interpretativa di cantanti, un cartellone continuamente aggiornato per rispondere alle esigenze di un pubblico desideroso di spettacoli nuovi, grandi coreografi come Salvatore Viganò che seppe rinnovare i moduli del balletto classico e imporre un nuovo stile, ballerine come Maria Taglioni e Fanny Cerrito. Le cronache musicali dell’epoca dedicano ampio spazio agli spettacoli, alla cronaca di costume, alle interpretazioni dei cantanti più noti, che suscitavano nel pubblico manifestazioni di fanatismo». 

Per l’aristocrazia e la nuova borghesia imprenditoriale meneghina La Scala non è solo il tempio della lirica — una passione travolgente che accomuna tutti i ceti e tutte le fazioni — ma è il centro della vita sociale meneghina. Stendhal, assiduo frequentatore nei suoi soggiorni milanesi, ricorda «Quelli che hanno un palco vi ricevono i propri amici. Qui un palco è come una casa e si vende da venti a venticinquemila franchi (…) Ci si saluta da un capo all’altro del teatro, da un palco all’altro. Io sono introdotto in sette o otto di essi. In ciascuno stanno cinque o sei persone e la conversazione è avviata come in salotto. Regnano modi di grande naturalezza e una dolce allegria, ma soprattutto nessuna solennità».

Ma torniamo a Verdi. All’indomani della bocciatura, un membro della commissione  del Conservatorio, il celebre violinista Alessandro Rolla, antico maestro di Paganini, lo esorta a non arrendersi e gli consiglia di proseguire gli studi privatamente. Il primo docente di Verdi è Vincenzo Lavigna, “maestro al cembalo” a La Scala, che raccomanda al suo nuovo discepolo di abbonarsi subito al teatro e di andarvi tutte le sere. Antonio Barezzi, il generoso mecenate che da Busseto lo aiuta, si fa carico delle spese e gli regala una spinetta nuova con la dedica “A Giuseppe Verdi, Barezzi Antonio 1832”.

LaScalaAssieme al costante studio dei classici (Paisello e Mozart, soprattutto) le rappresentazioni scaligere rappresenteranno il vero banco di scuola del bussetano. Come annota Giovanni Barigazzi «Verdi frequentava il teatro per imparare a scrivere  musica operistica. Ogni mese noleggiava degli spartiti per esaminarli assieme al maestro: si applicò molto al “Don Giovanni” di Mozart, cercò di impadronirsi dei segreti del mestiere, di certe astuzie da seguire per catturare le simpatie del pubblico, di conoscere anche le trappole, per evitarle».

La prima stagione a cui il giovane musicista assiste è quella dell’autunno 1832, seguita da quella di Carnevale-Quaresima ’32-33. Il cartellone non è dei più entusiasmati: vengono portati in scena Mercandante (“Donna Caritea” e “Ismailia”), Donizetti (“Fausta”), Luigi Ricci (“Fernando Cortez”  e “Il nuovo Figaro”), Coccia (“Caterina di Guisa”). Tutte opere minori ormai dimenticate. Nelle stagioni successive Verdi ha modo di godersi (e studiare) manifestazioni ben più valide come “Lucrezia Borgia” e “Anna Bolena” di Donizetti, “Otello” di Rossini e, nel gennaio 1835, “La Norma” di Bellini.

oberto_conte_san_bonifacioLe lezioni (costose) e gli spettacoli scaligeri (ancor più costosi) preoccupano Antonio Barezzi ma producono presto i primi risultati. Nelle sue serate a La Scala, Giuseppe era diventato amico — grazie a Lavigna — di Pietro Masini, direttore della “Società dei Filarmoci”, composto da dilettanti tutti esponenti della migliore società milanese. Assistendo nel 1834 alle prove dell’oratorio “La creazione” di Haydn, Massini invitò Verdi a sedere al cembalo per accompagnare l’esecuzione. Un colpo di fortuna insperato. Quasi mezzo secolo dopo, Verdi ricorderà così quel momento: «Io allora ero fresco di studi e certo non mi trovavo imbarazzato innanzi a una partitura d’orchestra… Rammento benissimo alcuni sorrisetti ironici dei signori dilettanti, e pare che la mia figura giovanile, magra e non troppo azzimata nel vestire, fosse tale da ispirare poca fiducia. Insomma si principiò a provare, ed a poco a poco riscaldandomi ed eccitandomi, non solo non mi limitai ad accompagnare, ma cominciai anche a dirigere con la mano destra, suonando colla sola sinistra: ebbi un vero successo, tanto più grande quanto inaspettato. Finita la prova, complimenti, congratulazioni d’ogni parte, ed in specie dal conte Pompeo Belgiojoso e conte Renato Borromeo. Infine si finì coll’affidare a me intieramente il concerto: ebbe luogo l’esecuzione pubblica con tale successo che si replicò poi nel gran salone del Casino de’ Nobili, alla presenza dell’arciduca ed arciduchessa Ranieri e di tutta la gran società d’allora».

Era l’inizio di una carriera prodigiosa. Il 17 novembre 1839 Giuseppe Verdi rappresentava a La Scala la sua prima opera, “Oberto conte di San Bonifacio”. Aveva soltanto 26 anni.

 

 

Ultimo aggiornamento: Thu Jun 29 14:57:25 CEST 2017
Data creazione: Thu Jun 29 14:55:16 CEST 2017