Ritorno a Milano
Tra l’esecuzione de “La creazione” di Haydn alla Società dei Filarmonici e la prima dell’”Oberto” passano cinque anni. Per Verdi è un periodo difficile, a tratti amaro. Il 4 maggio 1836, dopo tre anni di studio con il Lavigna, il giovane musicista torna, malvolentieri, a Bussetto. Nel paese natale ottiene l’incarico di maestro di musica e sposa Margherita Barezzi, figlia del suo mecenate. Antonio Barezzi — figura centrale nel percorso verdiano, capace, da uomo intelligente e sensibile quale era, di rappresentare un riferimento paterno, solido per quell’ombroso figlio di contadini della “bassa” — comprende presto l’insofferenza del geniale genero per il ristretto mondo bussetano, la sua distanza dalle invidie e incomprensioni dell’ambiente natio, e lo sostiene con forza e convinzione. Oltre all’aiuto del suocero, per Giuseppe l’unica consolazione in quegli anni “d’esilio in patria” saranno l’amore di Margherita, la nascita di due bimbi — Virginia Maria e Icilio Romano — e la composizione de l’”Oberto”, un lavoro commissionato dall’amico Masini per il teatro meneghino Filodrammatico di cui era direttore.
Come annota Massimo Mila, l’opera «fu un lavoro probabilmente accanito, a testa bassa, come una fuga dalle contrastanti condizioni dell’esistenza di Busseto. Il 16 settembre 1836 Verdi annuncia al Masini d’aver finito l’opera. Il 16 settembre c’erano stati a Milano i funerali del suo maestro Lavigna, morto due giorni prima. Verdi non si mosse. Insensibilità? Sordità? No, semplicemente un inesorabile senso del dovere da assolvere, che nessun impulso, neppur sentimentale, poteva in alcun caso distrarre.
Ma Verdi era fatto così: assentarsi in un giorno di lezione dall’invisa scuoletta bussetana, chiedere un giorno di permesso e lasciare i ragazzi in casa gli creava un problema, un caso di coscienza.
Se pure non vogliamo pensare che fosse già maturato in lui quel grandioso pessimismo dei suoi anni maturi, che di fronte alla morte gli faceva considerare come meschine esibizioni le cerimonie dei viventi» .
Sfortunatamente lo sforzo del giovane compositore si rivela inutile: inaspettatamente il Masini decade dal suo incarico e l’opera rimane senza committente. Verdi non si perde d’animo e nel biennio successivo cercò di offrirla agli impresari di Parma — la capitale del piccolo ducato — ma senza successo. La morte della piccola Virginia, il 12 agosto 1838, un mese dopo la nascita del secondogenito Icilio, scuote profondamente Giuseppe e lo convince ad abbandonare definitivamente Busseto. Il 28 ottobre con una dura lettera — “A codesto infelicissimo mio paese ben m’avveggo ch’io non posso essere di quella utilità che avrei pur bramato” — comunicò al podestà le sue dimissioni anticipate. Il 6 febbraio 1839 la famigliola lasciava il borgo, con la benedizione e l’aiuto economico del generoso Barezzi, e si stabilisce a Milano in via San Simone (oggi Cesare Correnti) al Carrobbio.
Data creazione: Thu Jun 29 15:36:03 CEST 2017